Marcello Bolpagni

Le (im)mutabili intenzioni narrative di Roberto Saviano (pp. 489-499)

Estratto 1

La possibilità di scrivere dei meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. Riflettere se era ancora possibile fare i nomi, a uno a uno, indicare i visi, spogliare i corpi dei reati e renderli elementi dell’architettura dell’autorità. Se era ancora possibile inseguire come porci da tartufo le dinamiche del reale, l’affermazione dei poteri, senza metafore, senza mediazioni, con la sola lama della scrittura».

(Roberto Saviano, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Milano, Mondadori, 2006, p. 233)

Estratto 2

«Un romanzo no-fiction direi. A fianco ad un io narrativo cresciuto in ciò che ho fatto, visto, sentito, ho messo la disciplina del dato e poi ancora le mie congetture, sensazioni, e poi le ordinanze di custodia cautelare, le analisi, le percentuali, i nomi delle aziende e quelli dei boss. Non ho mai creduto in una scrittura di evasione, anche quando intesa nel suo senso più nobile, di rottura dalla propria gabbia di carne per uscirne fuori. Ho invece creduto in una scrittura di invasione, una parola in grado di iniettarsi sottopelle».

(Intervista di Loredana Lipperini a Roberto Saviano, 29 agosto 2006, www.loredanalipperini.blog.kataweb.it).

Estratto 3

«Il reporter è l’occhio, lo scrittore la mano e un po’ di mente, il giornalista l’occhio e un po’ di mano, il poeta il cuore, il narratore lo stomaco. Ma è forse giunto il tempo di generare un mostro a più mani e più occhi, un tempo in cui chi scrive possa invadere, coinvolgere, abusare di ogni strumento».

(Roberto Saviano, La bellezza e l’inferno. Scritti 2004-2009, Milano, Mondadori, 2009, p. 243)

Estratto 4

«Lo scrittore, in questo senso, ha un’immensa responsabilità: la responsabilità di far sentire quel che racconta, le storie che sceglie di raccontare, non come storie distanti, lontane. Ovvio che sto parlando di una particolare letteratura, nel mio caso, avendo io scritto una sorta di non-fiction novel, come diceva Truman Capote, si trattava di raccontare la realtà».

(Ivi, p. 200)

Estratto 5

«Truman Capote l’aveva scritto poco prima di morire: “Il romanzo e la verità sono divisi da un’isola che si restringe via via sempre di più, ma stanno per incontrarsi. I due fiumi scorreranno insieme, una volta per tutte”. E il rischio per gli scrittori non è mai di aver svelato quel segreto, di aver scoperto chissà quale verità nascosta, ma di averla detta. Di averla detta bene. Questo rende lo scrittore pericoloso, temuto».

(Ivi, p. 241)

Estratto 6

«Gomorra, al contrario, non si pone l’obbiettivo di redimere il linguaggio corrente del giornalismo: a scandire l’immediatezza ossessiva della narrazione è proprio quel “tempo breve” dei media. Se Capote poteva ancora affermare che In cold blood – suo indiscusso capolavoro di non-fiction novel – è stato «un esperimento letterario, in cui scelsi un soggetto non perché mi attirasse così tanto, sarebbe falso dirlo, ma perché serviva ai miei scopi letterari»1, Saviano segue la via opposta: non è il linguaggio letterario a insinuarsi nella comunicazione, a scalfirne la superficie lucida e continua, ma sono le tecniche discorsive, le strutture della significazione e gli stilemi dei faits divers a compenetrare le pratiche letterarie».

(Id., Gomorra, cit., p. 86)

Estratto 7

«La possibilità di scrivere dei meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. Riflettere se era ancora possibile fare i nomi, a uno a uno, indicare i visi, spogliare i corpi dei reati e renderli elementi dell’architettura dell’autorità. Se era ancora possibile inseguire come porci da tartufo le dinamiche del reale, l’affermazione dei poteri, senza metafore, senza mediazioni, con la sola lama della scrittura».

(Ivi, p. 233)

Estratto 8

«The comparison is incongruent. Saviano fearlessly names violent clansman, but he does not name corrupt politicians. With his noir chronicles and ethnographic tales of “The System”, he certainly imagines the unknown and admits the unsaid, but without the whole picture, his account does not, as Pasolini wrote, put «logic back where arbitrariness, madness and mystery seem to reign». Saviano’s account is “real” and may be all “true”, but it is not total. The camorra is “The System” because of its wider political articulations».

(Jason Pine, Icons and iconoclasm: Roberto Saviano’s Gomorrah and La Denuncia, in «Journal of Modern Italian Studies», 2008, 13, p. 435)

Estratto 9

«La peggiore delle mie paure, quella che mi assilla di continuo, è che riescano a diffamarmi, a distruggere la mia credibilità, a infangare ciò per cui mi sono speso e ho pagato. Lo hanno fatto con tutti coloro che hanno deciso di raccontare e denunciare».

(Roberto Saviano, Vieni via con me, Milano, Feltrinelli, 2011, pagina sconosciuta)

Estratto 10

«La differenza fra Rushdie e me è questa: lui è stato condannato da un regime che non tollera alcuna espressione contraria alla sua ideologia; mentre laddove la censura non esiste ciò che ne prende le veci è la disattenzione, l’indifferenza, il rumore di fondo del fiume di informazioni che scorrono senza avere capacità di incidere».

(fonte sconosciuta)

Estratto 11

«Šalamov sapeva dell’enorme diffidenza attorno al suo lavoro, ne era cosciente. Veniva spesso accusato di essere anticomunista, disfattista, al servizio delle potenze capitaliste. Per sua disgrazia, era semplicemente uno scrittore. E questo bastava per farlo odiare».

(Id., Il gulag di Šalamov mi ha cambiato la vita, www.ilsole24ore.com, 4 luglio 2010)

Estratto 12

«Non mi interessa la letteratura come vizio, non mi interessa la letteratura come pensiero debole, non mi riguardano belle storie incapaci di mettere le mani nel sangue del mio tempo, e di fissare in volto il marciume della politica e il tanfo degli affari. Esiste una letteratura diversa che può avere grandi qualità e riscuotere numerosi consensi. Ma non mi riguarda».

(Id., La bellezza e l’inferno, cit., p. 24)

Estratto 13

«L’uomo si è rivelato molto peggiore di quanto di lui pensassero gli umanisti russi dei secoli XIX e XX. E non solo russi, perché non dirlo? […] il tema del lager è l’espressione, il riflesso, la conoscenza della più grande tragedia del nostro tempo. E la tragedia consiste in questo: come hanno potuto uomini educati per generazioni sulla letteratura umanistica arrivare ad Auschwitz, alla Kolyma. Non è soltanto un enigma russo. Evidentemente, è una questione universale. E l’inferno, ahimè, può ritornare. I Racconti della Kolyma non lo fermeranno».

(Varlam Šalamov, Sobranie Socinenij v Šestich Tomach, a cura di Irina Sirotinskaja, Mosca, Terra-Knižnyj Klub, 2004-2005, VI, pp. 582-583)

Estratto 14

«Io so che qui ogni uomo aveva qualcosa di estremo, di essenziale, quello che aiutava a vivere, a restare aggrappati alla vita che con tanta pervicacia cercavano di toglierci. Questa estrema risorsa per Zamjatin era la liturgia di Giovanni Crisostomo. Per me erano i versi, i versi amati di altri poeti, i versi che sorprendentemente mi ritornavano in mente in un luogo dove tutto era dimenticato, espulso, cacciato via dalla memoria. L’unica cosa che ancora non era stata schiacciata dalla stanchezza, dal gelo, dalla fame e dalle umiliazioni senza fine».

(Id., Liturgia, in Id., I racconti della Kolyma, Roma, Newton-Compton, 2012 [eBook], p. non numerata)

Estratto 15

«Qui si tratta – nelle intenzioni dell’autore – di un carisma, di un dono divino, di una lingua pentecostale. Che cerca uomini da convertire, più che lettori da informare. Ma se questa liturgia era credibile in Gomorra dove Saviano si presentava come parresiaste, come colui che esercita attraverso il proprio corpo l’etica della verità andando nei posti certo, rischiando la pelle, ma soprattutto mettendo a repentaglio la sua voce – come si può essere mimetici eppure lucidi, cosa ci attrae nel racconto del Male da cui poi dobbiamo invece fuggire?».

(Christian Raimo, ZeroZeroZero, e Saviano diventa la parodia di se stesso, in «Linkiesta», 10
aprile 2013)

Estratto 16

Ecco, ora sai quello che bisogna sapere. Adesso tocca a te armarti di santa pazienza e di una calcolatrice. Sono sicuro che riuscirai a venirne a capo. Cosa? Ti gira la testa? Anche a me».

(Roberto Saviano, ZeroZeroZero, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 241)

Estratto 17

«Quando riuscirai a raccontare, quando capirai come rendere accattivante il racconto, quando saprai esattamente dosare stile e verità, quando le tue parole usciranno dal tuo torace, dalla tua bocca e avranno un suono, tu sarai il primo a provarne fastidio. Sarai tu il primo a odiarti, con tutto te stesso. E non sarai l’unico. Ti odierà persino chi ti ascolta, cioè chi sceglie di farlo senza alcuna costrizione, perché gli mostri questo schifo […] Ristabilire la giustizia. E magari in parte è così. Ma forse, e soprattutto in questo caso, devi anche accettare il peso di essere un piccolo supereroe senza uno straccio di potere. Di essere in fondo un patetico essere umano che ha sovrastimato le sue forze solo perché non si era mai imbattuto nel loro limite. La parola ti dà una forza assai superiore a quella che il tuo corpo e la tua vita possono contenere».

(Ivi, p. 96)

Estratto 18

«Sono diventato un mostro. […] Sono un mostro, com’è mostro chiunque si è sacrificato per qualcosa che ha creduto superiore».

(Ivi, pp. 434-436)