Gianluca Frenguelli

Perché si scrive un trattato: prologhi cinquecenteschi

Nel Cinquecento le parti introduttive dei trattati in volgare (anche di quelli che hanno forma dialogica) sono per lo più contraddistinte da una certa variabilità, a livello sia micro-, sia macrotestuale: al proemio può essere o meno anticipata una dedicatoria dell’opera, oppure la dedicatoria stessa può avere funzione proemiale. All’interno di tali parti sono presenti differenti unità testuali, che a un primo sguardo non appaiono dipendere dal genere e dal tipo di trattato, e le cui caratteristiche si ripetono in altri trattati, anche di differenti autori. Oltre alle parti più propriamente metatestuali, quali anticipazione del contenuto dell’opera e descrizione dell’antefatto, abbiamo: topoi consueti di modestia e di inadeguatezza, omaggio cortigiano al dedicatario dell’opera, similitudini (per es. il lettore come un viandante, l’opera come una nave che esce dal porto), considerazioni generali sulla natura dell’uomo, motivazione dell’importanza e dell’utilità dell’opera e, più in generale, dell’importanza e dell’utilità delle lettere.
La sintassi dei prologhi appare animata da un più accentuato retoricizzamento, che si riflette in una maggiore complessità sintattica: i periodi sono lunghi ed elaborati (con frequente ricorso alla connessione interfrasale e alla prolessi delle subordinate, anche in posizione iniziale assoluta), e sono spesso costruiti mediante strutture di tipo correlativo, anch’esse generalmente interfrasali; frequenti sono anche le ampie serie elencative di subordinate, anticipate alla principale e introdotte da verbi al gerundio, e l’uso di domande, soprattutto di tipo argomentativo.
Partendo da tali considerazioni, mediante l’analisi di trattati cinquecenteschi di diversa forma e argomento, il contributo si propone di mettere ordine in questa ampia casistica, tentando di definire una tipologia di carattere testuale delle parti proemiali dei trattati. Particolare attenzione sarà riservata ai rapporti intercorrenti tra l’argomento dell’opera e i suoi aspetti testuali, e tra questi ultimi e gli aspetti sintattici.

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Gianluca Frenguelli (Università di Macerata) – Dopo aver conseguito nel 2002 il titolo di Dottore di ricerca presso l’Università degli studi Roma Tre, presso lo stesso ateneo è stato titolare di un assegno di ricerca biennale e ha insegnato Linguistica generale. È stato docente presso Master di Italianistica dell’università di Chieti, presso il Corso di lingua italiana contemporanea dell’Università per Stranieri di Perugia. Nel 2003 ha vinto il concorso per Professore di seconda fascia presso l’università di Macerata, dove, dal 2004 a tutt’oggi, ha insegnato Linguistica italiana. Principali settori della sua attività scientifica sono: sintassi e testualità della prosa e della poesia italiane (dal XIII al XVI secolo); lingua dei media; formazione delle parole nell’italiano antico e moderno; prestito linguistico (influenza dell’inglese); lingua della prosa e della poesia italiane del primo Novecento e del periodo coloniale. Su questi argomenti ha scritto vari contributi e tenuto lezioni e conferenze in diverse Università italiane e straniere. È autore di tre volumi: L’espressione della causalità nell’italiano antico (2002), Tre studi di sintassi antica e rinascimentale (2002),  Tra sintassi e testo. Studi sull’italiano antico (e oltre) (2010), tutti pubblicati con l’editore Aracne (Roma). È condirettore della rivista “La lingua italiana. Storia, strutture, testi” e della collana “Studi linguistici e di storia della lingua italiana”.